Redazione
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Lunedì 10 Novembre 2025
Stefania Brancaccio *
Ci sono momenti nella storia in cui le parole del Papa sembrano scendere non dall'alto, ma dal fondo della terra: come un suono che attraversa le crepe del nostro tempo. Dilexi te è una di quelle voci. Parla a una Chiesa che deve ricomporsi, ma anche a un mondo che si è smarrito. Parla di unità, ma in realtà invoca una guarigione: quella di un'umanità frammentata dal culto del mercato, dalla fede cieca nel denaro e dall'indifferenza che nasce quando la ricchezza diventa misura di ogni valore. Viviamo dentro un'economia che non genera più legami ma solitudini. Siamo circondati da risultati, da grafici, da percentuali di successo, ma sempre più poveri di misericordia. E questa povertà, che il Papa chiama con parole antiche e semplici, è forse la più nuova: la povertà di senso, di ascolto, di compassione. Si è poveri anche quando si ha tutto, se nulla più commuove.
C'è un passaggio che sento profondamente mio: quando si dice che le strutture d'ingiustizia vanno distrutte con la forza del bene. È un pensiero che non appartiene solo alla teologia: è una consegna civile. Perché il bene non è un sentimento astratto, ma un gesto quotidiano, una scelta organizzativa, una responsabilità d'impresa. Chi lavora, chi produce, chi crea posti di lavoro, non può sentirsi estraneo a questo richiamo. Siamo parte del problema, ma possiamo essere anche parte della cura. Ci hanno insegnato che la libertà del mercato è garanzia di progresso. Ma se la libertà non è accompagnata da giustizia e compassione, diventa un recinto. Non si tratta di rifiutare il profitto sarebbe ingenuo e ipocrita ma di ricordare che il profitto non basta. Un'economia che uccide non è solo quella che sfrutta, ma anche quella che dimentica. E allora il messaggio del Papa non è un rimprovero, ma un invito: tornare alla concretezza delle opere di misericordia. Non come retorica pietosa, ma come forma di resistenza morale. Restituire dignità a chi lavora, ascoltare chi non ha voce, dare spazio a chi si sente inutile: sono le nuove opere di misericordia del nostro tempo. Io credo che questo sia il compito di chi oggi guida imprese, associazioni, istituzioni: ricucire la trama invisibile tra l'economia e la vita. Non con dichiarazioni, ma con scelte. Non con rivendicazioni, ma con presenza. Perché la speranza non è un sentimento, è una decisione. Scegliere di sperare dice il Papa è scegliere di vivere. E chi guida, chi educa, chi lavora, deve scegliere ogni giorno di credere nel bene possibile.
Forse il futuro della Chiesa e dell'economia si incontrano proprio qui: nel coraggio di rimettere al centro la persona, non come risorsa, ma come mistero. E nel credere che, anche nell'impresa, la carità non sia debolezza ma forza creativa.
* Cavaliere del lavoro
vice presidente della Coelmo spa
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